
Capitolo 1: Sulla banchina
Sono in cinque e mi hanno circondato.
Gridano, ridono e non la smettono più di colpirmi. Io li imploro di fermarsi, ma se la godono come porci a suonarmele. Mi fa male dappertutto. Mi accascio per terra, stremato.
La strada, il ponte sopra la mia testa, la balaustra di ferro battuto, l'acqua del naviglio con tutto il freddo della notte: ogni cosa attorno sprofonda in un gorgo di china nera.
Sento la faccia deformarsi, come se invisibili fili di nylon stessero tirando la pelle in direzioni opposte. Oltrepasso quell'istante oltre il quale la mia capacità di sopportazione non conosce più limiti. I vigliacchi, vedendomi incurvato faccia a terra, pensano ormai di avermi stremato, ma è ciò che si agita dentro di me, svolgendosi tra le vertebre e i muscoli, a pretendere spazio. I suoni sono soppressi, il tatto quasi eliminato, l'aria non ha più odore. Non sento più nulla.
Avverto due ali, enormi, schiantare il cemento dei muri, schizzando fuori dalla mia schiena come inchiostro rabbioso sparato a mille atmosfere. Le mani lasciano scorrere fuori gli artigli senza che io avverta il minimo dolore.
Mi ero ripromesso che avrei assistito a tutto, che mi sarei osservato cambiare. Speravo mi potesse aiutare a conquistare il distacco necessario ad accettare la metamorfosi. Ma accade ancora troppo in fretta e, al di là della mia volontà, il mio corpo non mi appartiene più.
Esalo un ultimo affannato respiro, quell'anemos greco che noi occidentali, nel tempo, abbiamo gonfiato fino a dargli dignità di anima. Reclino la testa, l'unica parte in cui ancora mi sento presente, qualsiasi cosa questo significhi. L'Altro fa il resto. Per un bizzarro gioco di equilibri mi concede di rimanere vigile, come fossi una sorta di super-io inerme al cospetto dei suoi istinti. È così che assisto impotente allo spettacolo macabro della repentina eliminazione di quei cinque.
L'Altro soddisfa il suo desiderio omicida con tale spasmodica velocità da farmi temere che non si accontenterà. Quei corpi così robusti, così sodi e prestanti, si rivelano teneri e fatui involucri del più stupefacente complesso di liquidi e gelatine. Quando gli artigli dell'Altro si arrestano, ne rimane solo una indistinguibile tela divisionista a tinte viscerali.
La polizia arriva molti minuti dopo, illuminando di blu intermittente il selciato lungo il naviglio. Ho già ripreso sembianze umane e osservo la scena dall'alto di un cornicione. Mi sento estraneo a tutto, come un reporter che abbia filmato la caccia cruenta di una leonessa.
È un vero peccato che i leoni non abbiano ali, penso. Sarebbero più belli.